Il “segreto di Pulcinella” del lavoro autonomo in Italia
- Alvise Bortolato
- Mar 10
- 5 min read

C’è una verità che nessuno, o quasi, ha il coraggio di dire in questo paese: la cosa peggiore del lavoro autonomo in Italia sono le tempistiche di pagamento.
Una prassi, quella di pagare in ritardo (o di non pagare), vergognosa quanto tollerata, percepita come “eh, è così che funziona”, ma che non è altro che un ricatto, uno scarica barile, una viltà dietro cui ci si trincera per i propri interessi. Il grande – la committenza – usa il potere (di cui il denaro è la forma più immediata e tangibile, ma anche la presunta visibilità o il “fa curriculum”) per schiacciare e sfruttare il piccolo senza alcuno scrupolo. Il resto sono chiacchiere di cui riempirsi la bocca.
È uno degli aspetti che rende ancor più insostenibile la retorica de “i giovani non hanno voglia di lavorare” – tralasciando il fatto che qualsiasi persona lucida sa che lavorare è l’ultima cosa in cui ha senso spendere la propria vita su questa terra, se non fosse che abbiamo creato un sistema che rende quasi impossibile evitarlo, specie se si è onesti (consiglio la lettura di Giuseppe Rensi) – o che non vogliano rischiare intraprendendo carriere indipendenti o imprenditoriali, che preferiscano farsi mantenere o poltrire dopo aver ottenuto un posto fisso, oppure scegliere di emigrare altrove.
I giovani – quelli che possono e riescono – giustamente se ne vanno, leggetevi i dati, e assieme alla curva demografica italiana questo porterà a un’implosione del sistema. Un’implosione che, a questo punto, si configura come una giusta legge naturale ed è quasi auspicabile, fosse anche solo per rompere il circolo vizioso.

Spesso, quando arriva il momento di pagarti, quelli per cui lavori – che tu sia freelance, micro-impresa, o addirittura PMI – chiedono di avere “un po’ di pazienza”, che hanno poca liquidità, che hanno avuto spese impreviste, che l’economia sta andando male.
Nel mentre, però, non si fanno grossi problemi a aggiungere nuove richieste e a definirle urgenti, a scaricarti responsabilità, a dilazionare i pagamenti, a chiederti il venerdì di avere le nuove richieste pronte per il lunedì mattina perché devono presentarle all’ennesima riunione (in cui far passare l’essere riusciti a sfruttarti ulteriormente come un proprio merito). Nessuno, e dico davvero nessuno, a fronte di una richiesta in più offre di propria sponte qualcosa in cambio. Mai. Se lo chiedi, quasi sempre ti trattano come un alieno, un folle, un pericoloso sovversivo.
È assurdo arrivare a ritenere virtuose le aziende che pagano puntuali, perché dovrebbe essere l’unica normalità accettabile.
Scrivevo un paper sull’impatto della transizione ecologica sulla filiera che fornisce i grandi marchi globali, spesso del lusso. Si parla di sostenibilità ambientale, di innovazione tecnologica, di piani europei etc. etc. Ma davvero, dove vogliamo andare se per venire pagato da freelance o micro-azienda devi aspettare mesi, sollecitare, farti venire il sangue amaro, attingere ai pochi risparmi o chiedere aiuto in famiglia per non indebitarti? Come può esserci sostenibilità ambientale e crescita quando non vi è sostenibilità economica per chi, dal basso, tiene in piedi il sistema?
Ho lavorato come freelance per aziende miliardarie con figure valutate per la loro capacità di spremerti (“puoi lavorare il weekend perché le modifiche del venerdì ci servono il lunedì in riunione?”, “riesci a farci anche un’altra prova per quel progetto che vorremmo avere più scelta?”), ma quando chiedi che al lavoro in più corrisponda un compenso maggiore, rispondono che non si può perché il budget approvato è quello, e per richiederne altro servirebbero mesi di tempo per i vari step burocratici di approvazione interna.
Ho lavorato per aziende con successo internazionale che, complice la pandemia, avevano fatto oltre + 100% da un anno all’altro, ma che pagavano mesi in ritardo e solo dopo numerosi solleciti. Aziende che mi cercavano per raccontare quanto fossero da ammirare per i propri valori, salvo poi agire come tutte le altre. Tanto chi ti fa causa per qualche migliaio d’euro di fattura?
In termini di tempo nessuno ha mai lavorato così tante ore nella storia dell’umanità. Eppure mai la depressione, lo stress, l’infelicità erano assurte a pandemie trasversali e onnipresenti. Basta lasciarsi alle spalle per qualche tempo le società avanzate fondate proprio sul lavoro e le performance per accorgersi di quanto in realtà si viva male, e di come i tentativi di mascheramento attraverso il possesso materiale e i presunti status symbol siano completamente inefficaci.
Metteteci un governo incompetente (il peggiore di cui io abbia memoria) fatto di servi e lecchini e parassiti che nella pratica sta facendo più danni della grandine, al di là della retorica e dei tentativi di distrarre il popolo bue. Inutile dire che ogni paese ha il governo che si merita, e che questo tipo di circolo vizioso non lo spezzano o i governi (che ne traggono vantaggio) ma i cittadini che sono chiamati ad eleggerli.
Non arrivate a fine mese e vi lasciate abbindolare da chi si aumenta lo stipendio di migliaia di euro, da chi regala extra-profitti a banche, multinazionali e industrie belliche?
Ci tolgono istruzione e sanità da sotto al naso per comprare armi e creare fallimentari centri di detenzione per migranti o sventolare progetti come un ponte irrealizzabile, e li votate perché sono patrioti?
In tutto ciò vedo gente che non arriva a fine mese che idolatra i miliardari, gente dichiaratamente razzista che se non è ancora fallita è solo grazie agli immigrati. Il capitalismo funziona così bene che odiate i poveri anche se lo siete pure voi.
E poi c’è un grande ricatto sotteso: non ti conviene parlarne né denunciare. Non puoi rompere troppo i coglioni altrimenti ti giochi il cliente o la fornitura, e poi devi investire tempo e risorse per procurartene altri in tempi economici sempre più incerti. Ringrazia che lo hai un lavoro, anche se ti paghiamo quando e se ne abbiamo voglia. E allora quasi tutti abbassano la testa e stringono i denti, spesso facendosi aiutare dalle famiglie per pagare affitti e bollette, indebitandosi, rinunciando a qualsiasi pensiero di costruire un futuro, rinchiudendosi nel puro sopravvivere, aggrappati con le unghie, annaspando e consumandosi quotidianamente.
Qualche giorno fa una persona aveva pubblicato su Linkedin una riflessione simile. Tempo di complimentarmi (un’ora) ha dovuto rimuoverla, altrimenti rischiava di perdere il cliente più economicamente importante che aveva. Immagino la sensazione di impotenza di fronte a quello che non è altro che un ricatto.

Il lavoro non pagato è un ossimoro. Pagarlo al di fuori delle tempistiche è schifoso, perché uno coi soldi ci vive e fregarsene di come possa fare per arrangiarsi è meschino e disumano. Il lavoro è qualcosa che si fa per affrancarsi dalla povertà, per avere stabilità su cui edificare il futuro. Se ciò che fai ti mantiene povero e precario, non si chiama lavoro ma schiavitù.
Un gioco al ribasso, logorante e svilente, in cui alla fine perdiamo irrimediabilmente tutti.
p.s. spero che Glassdoor prenda piede anche in Italia, così le aziende dovranno stare ben più attente su come si comportano con coloro che ingaggiano o assumono.
Per approfondire: