Dispacci dall’Indocina - #8 Siargao o della pioggia
- Alvise Bortolato
- Mar 21, 2024
- 8 min read

18 gennaio 2023
Tutto muta costantemente. Pure noi non sappiamo fare altro, per quanto ci rassicuri l’illusione di avere identità solide o certezze inscalfibili a cui poterci aggrappare. Inizio e fine, nascita e morte, individuo e ambiente sembrano distinzioni ben più granitiche di quanto non siano. Distinzioni operate da punti di vista che, in quanto tali, non possono che essere parziali e frutto di convenzioni arbitrarie. Credo che la stabilità sia un concetto fallace, il risultato di capacità di osservazione e comprensione limitate.
Ad ogni modo, questo è l’ultimo Dispaccio corredato dalle foto di Nicolò. Dopo due mesi di viaggio è giunto per lui il momento di tornare in Italia. A me non resta che proseguire, stavolta con una “nuova” compagna di viaggio.
4, 5 gennaio 2023 | Siargao
Trascorrono meno di 6 ore prima di far ritorno all’aeroporto di Manila con Alice, Nicolò e i nostri scarsi averi negli zaini. Stavolta ai controlli sono permessi i liquidi ma non gli accendini. Tutto mi appare sempre più arbitrario, ogni aeroporto una legislazione a sé, e nella consapevolezza della mia impotenza il nervosismo scivola via rapido. Sulla pista lucida di pioggia l’aereo per Siargao ci attende con due eliche notevoli a sostenere le ali, il bianco della fusoliera a stemperare la cupezza del cielo.
Manila dall’alto è impressionante. I contrasti tra ricchi e poveri, tra verticalità turrita e baraccopoli, tra urbanistica pianificata e affastellarsi di caos, appaiono evidenti nell’impietosa panoramica che ci concede il decollo. Poi le nuvole ci inghiottono e la carlinga danza rapsodica nelle perturbazioni che aumentano man mano che ci dirigiamo a est, verso il Pacifico. Il pessimismo climatico che ci ha inzuppato fin qui, trova nuova linfa nei presagi per la meta incombente.

Siargao sbuca tra le nuvole, la costa lambita da un anello di fango che le precipitazioni hanno trascinato fino al mare. Oltre l’anello torbido si intravedono le sfumature create dai reef. La pioggia scivola contro i finestrini. Il paesaggio sottostante è verdeggiante, lucido e gravido d’acqua. Il fascino tropicale trasuda anche nelle distese allagate, nei campi sparuti e nei piccoli insediamenti umani connessi da strade fangose.
Mentre l’attraversiamo su di un van sgangherato che sobbalza su strade erose, l’isola si conferma lussureggiante e ancora selvaggia. Le piogge hanno allagato vaste estensioni, sommergendo le capanne e le baracche non sufficientemente rialzate. Bufali, maiali e capre se ne stanno placidi nel fango, sorvegliati da trampolieri e altri volatili. La zona dove si concentra il turismo, General Luna, si trova a sud est dell’isola dove le correnti del Pacifico incontrano il fondale roccioso creando gli spot per i surfisti. Uno dei migliori posti al mondo, dicono, nonché il motivo che ci ha spinti fino a qui. A una cinquantina di chilometri dalle coste di Siargao, il fondale precipita nella Fossa delle Filippine fino all’abisso Cape Johnson che raggiunge la profondità di 10497 metri. Nicolò sceglie una sistemazione diversa dalla nostra, sulla semi-deserta costa nord. Alice e io passiamo il resto della giornata a esplorare i dintorni del nostro alloggio sotto a un cielo plumbeo. La pioggia continua a cadere a intermittenza ma la temperatura non scende mai sotto ai 25 gradi.
Il giorno seguente ci procuriamo un motorino scassato e gironzoliamo lungo la costa. I due poncho impermeabili compresi nel noleggio si riveleranno il capo più imprescindibile sull’isola. Anche in giornate uggiose basta che sbuchi il sole per evidenziare il lato paradisiaco della faccenda Siargao. Spiagge deserte ornate di palme, acque cristalline, un ritmo di vita lento in una mescolanza tra stranieri e locali che per ora sembra evitare speculazioni edilizie. General Luna è una sorte di enclave surfistica, uno di quei luoghi dove il surf costituisce la principale attrattiva, in cui la maggioranza dei presenti è costituita da un flusso di nomadi dediti alla tavola. Le identità nazionali sbiadiscono e il comune denominatore rimane il surf e lo stile di vita che ci gravita attorno.
Uno degli aspetti che più mi affascina di questa parte di mondo è la presenza di esseri umani che non fanno altro che esistere. Persone che non fanno nulla in un ozio imperturbabile, una categoria praticamente estinta nel frenetico produttivismo occidentale. Qui invece è un tripudio di nullafacenza. Osservo un signore seduto sotto la tettoia di lamiera addossata alla casetta in cui vive. Non fa altro che contemplare il vuoto. E come lui decine di esseri umani seduti sui tuk tuk, sulle casse di bibite nel retro dei ristoranti, lungo la strada. Non fare nulla, assolutamente nulla. Che sia anche così che si contribuisce al perdurare del mondo?
Ceniamo in una bettola all’aperto e a metà cena la pioggia riprende con intensità. Le rane gioiscono saltellando tra le pozze che si allargano rapide. Temporeggiamo chiacchierando con la cameriera in attesa che smetta, ma non accade. Indossiamo i poncho, inforchiamo il motorino e torniamo col fascio di luce del fanale attraversato da schegge d’acqua. La luna piena sbuca tra le nuvole che s’inseguono rapide e rischiara a giorno le fronde delle palme. Un’energia inafferrabile che scompiglia. Sdraiati a letto ascoltiamo i suoni della notte. Creature cantano nell’oscurità, in una sinfonia di voci sovrapposte che sovrastano il vento e la pioggia. Galli, rane, cani e chissà che altro.

6, 7, 8 gennaio 2023 | Siargao
L’insperato sole mattutino ci infonde l'ottimismo sufficiente a tentare un’escursione in barca. Al porto di General Luna contrattiamo un po’ fino a ottenere una barchetta privata con Jason a fare da guida e un altro barcaiolo che sorride senza mai proferire parola. L’imbarcazione tipica, con due stabilizzatori ottenuti da canne di bambù gigante, scivola sull’acqua cristallina fino alla prima delle tre isole appena fuori dalla costa. Naked Island non è altro che una striscia di sabbia che emerge dal reef. Sopra non c’è nulla, a parte turisti intenti a farsi selfie come se la foto di un paradiso tropicale avesse bisogno della partecipazione dei loro volti per esprimere la propria bellezza.
Daku è la seconda meta, un’isola con tanto di minuscolo insediamento. La spiaggia è ad appannaggio dei turisti – in gran parte locali – che affittano gazebo in cui abbuffarsi di cibo e cantare al karaoke. L’ottimismo meteorologico mattutino sfuma al comparire di un fronte di nubi scure proveniente dal Pacifico. Facciamo almeno tempo a mangiare, nonostante si riveli un’agonia per la sequela di incomprensioni con le ordinazioni e i conseguenti ritardi in cucina. Rimpinzati, ripartiamo facendo rotta su Guyam, terza e ultima delle isolette. Le nuvole si addensano scure. Jason osserva il cielo preoccupato e, diplomaticamente, ci fa notare che sta per cominciare a piovere. In realtà, l’alzarsi del vento e lo smorzarsi della luce diurna, aveva lasciato intuire anche a noi l’ormai ineluttabilità del rovescio. Lui suggerisce di fare un bagno sulla via del ritorno, lasciando perdere Guyam. Accettiamo e, poco dopo, Jason ferma la barca in mezzo al mare. Sotto di noi, una barriera corallina che senza il grigiore plumbeo sprigionerebbe chissà che colori. Il tempo di immergermi e il temporale ci investe davvero. A pelo d’acqua gli schizzi delle gocce di pioggia sembrano perle che ribalzano sul mare. Mi issano frettolosamente a bordo e ripartiamo, ma la sensazione è di non muoverci. Nella successiva mezz’ora arranchiamo a passo d’uomo, sballottati dalle onde che ci investono e spazzati dalla pioggia battente. Ci proteggiamo con gli asciugamani ma quando raggiungiamo finalmente il molo siamo infradiciati e infreddoliti. Ci vorrà una mezz’ora per smettere di tremare, indossare i poncho e inforcare il motorino. Senza che mai smetta di piovere.
A me, la pioggia è sempre piaciuta. L’accolgo sempre con gratitudine perché l’acqua porta vita. Magari prima ne spazza via una parte, ma poi le permette di tornare a proliferare. È una rotonda serenità addormentarmi con Alice accanto, cullato dallo scroscio della pioggia che precipita lungo tetti di paglia e lamiera fino a scavare nel fango i perimetri delle abitazioni, e dal gracidare costante su cui svettano gli assoli dei galli. Rendo grazie a qualunque cosa sia stata a condurmi qui, ora.
Il perno dei giorni seguenti a Siargao sono due: il surf e la pioggia. Per quanto riguarda il primo, quest’isola è un paradiso: spiagge incontaminate, spot per qualsiasi livello, acqua calda in cui stare ore, costo delle lezioni e del noleggio tavola irrisorio. La pioggia invece è il pattern base, una sorta di rumore bianco che accompagna ogni altra cosa. L’evoluzione altalenante del sentimento nei confronti della pioggia determina l’umore delle giornate. La cosa più importante è imparare l’indifferenza o per lo meno l’accettazione.

Dopo la cena in uno dei tanti ristoranti che affollano la via principale di General Luna, rientriamo su un triciclo guidato da un signore che è praticamente cieco, almeno da come ci scruta quando lo fermiamo. Come se non bastasse, il diluvio feroce lo costringe a guidare con la testa fuori dalla tettoia del mezzo, procedendo a passo d’uomo, con una visibilità ridotta a pochi metri, cani che attraversano la strada, pedoni, auto e moto che sfrecciano come schegge impazzite sul fondo eroso e dissestato che un tempo dev’essere stato asfalto.
Oggi, 8 gennaio, ha piovuto quasi incessantemente. Siargao costituisce il punto più remoto di questo viaggio, la massima distanza dal punto di partenza. Da qui in poi, in un certo senso, non farò altro che tornare verso casa.
9, 10, 11 gennaio 2023 | Siargao
Pioggia, pioggia e ancora pioggia. Nel primo pomeriggio con Alice andiamo a fare lezione di surf. Ci portano a Giwan, uno spot sul versante sud dell’isola a 40 minuti di motorino. Poi ci vogliono altri 10 minuti di cammino lungo un sentiero fangoso per raggiungere la spiaggia. La location però è spettacolare, selvaggia e intoccata con l’eccezione di un baracchino che funge da deposito tavole e spogliatoio. Dal mare si scorgono solo i profili delle palme e il verdeggiare della vegetazione. Il mio istruttore si chiama Pax, alto un metro e uno sputo ma estremamente attento e preciso. Mi insegna a prendere onde che non avrei mai sognato di prendere, e dopo due ore esco dall’acqua sfinito e emozionato. Il viaggio di ritorno è gelido, con addosso solo il costume fradicio sotto al poncho. La pioggia continua a cadere, le mani si intorpidiscono fino a perdere sensibilità. Non vediamo l’ora di essere in un posto asciutto. L’impressione è che, se continua così, finiremo per ammuffire.

Credo che questo 10 gennaio rimarrà a lungo la giornata più piovosa della mia vita. Un’intensità e una costanza che hanno dell’assurdo per un occidentale abituato a tutt’altre precipitazioni. Sembra che l’Oceano Pacifico tenti di annegarci spedendo orde di nuvole ad annaffiarci senza sosta. Verso il pomeriggio, l’assurdità della pioggia diventa quasi divertente, tragicomica. Con Alice valutiamo di lasciare le Filippine anzitempo se il clima non migliorerà nelle prossime tappe. Ci accorgiamo che alcuni dei vestiti che teniamo appesi in camera hanno iniziato a coprirsi di macchie di muffa.
Lasciamo Siargao all’ora di pranzo, dopo un risveglio con allerta meteo per le inondazioni che stanno colpendo quest’area delle Filippine. La pioggia sembra concedere una tregua, ma l’isola è allagata mentre percorriamo a ritroso la strada che collega General Luna all’aeroporto. Lungo le strade le persone sembrano in una pacifica accettazione degli elementi. Un ragazzo inglese che viaggia nel nostro van, che ci tiene a informarci di essere ubriaco da 3 giorni, è convinto che per prendere un volo interno al paese sia sufficiente la carta d’identità, al modo in cui funziona nell’Unione Europea. Vederlo rimbalzato dal personale dell’aeroporto è una delle ultime immagini di quest’isola in cui speriamo di fare ritorno con un clima migliore.
Prossima tappa: Cebu.
(Ultime) Foto a cura del consunto iPhone 8 di @nicolocarlon che da questo momento in poi torna a fotografare nel delizioso clima invernale della Pianura Padana. See you space cowboy.