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Dispacci dall’Indocina - #6 Borneo Bifronte

  • Writer: Alvise Bortolato
    Alvise Bortolato
  • Mar 21, 2024
  • 11 min read


30 dicembre 2022

 

Borneo immaginario e Borneo reale si trovano a collidere. La terza isola più grande del mondo, divisa tra la regione malese a nord, quella indonesiana a sud e il piccolo quanto eccentrico sultanato del Brunei. Un luogo che incarna un esotismo fatto di antiche tribù, natura impenetrabile, biodiversità stupefacente, epica da pirati e esploratori. Ma anche una terra dove la distruzione degli ecosistemi procede incessantemente, dove le risorse naturali vengono saccheggiate senza alcuna regola né remora. Dicotomie e contraddizioni. Una tappa irrinunciabile sulla traiettoria tra il Siam e le Filippine, a cui avrei dedicato più tempo non fosse stato per l’incalzare della stagione delle piogge.

 

 

18 dicembre 2022 | Kuching

 

Avverto la commozione addensarsi mentre l’aereo si avvicina alla pista dell’aeroporto di Kuching. Una sensazione che si mischia all’eccitazione non appena usciamo nell’aria densa di umidità dopo aver recuperato gli zaini. Perché?  

 

Non ho mai avuto il “luogo dei miei sogni” ma il Borneo è stato il primo a risucchiarmi in un fantasticare meravigliato e, probabilmente, a determinare la mia traiettoria esistenziale più di ogni altro. La responsabilità è di Salgari e del suo ciclo indo-malese, prima abbacinante esperienza letteraria che mi stregò col potere delle storie di trascendere lo spazio-tempo. Pugnali d’assassini con lame ondulate, jungle impenetrabili traboccanti d’insidie, odore di marcescenza pluviale. E ora eccomi qua, con lo zaino in spalla nell’umidità di Kuching, mentre con Nicolò cerchiamo di procurarci un mezzo per la città. Ci pensa San Grab a toglierci dall’impiccio e, con l’occasione, offriamo un passaggio anche a un ragazzone teutonico che gironzola in Malesia sfruttano il periodo di exchange con base a Kuala Lumpur. Pensare a quanto sarebbe utile avere un servizio simile a Grab anche in Italia mi rammenta che, affinché pochi possano conservare i propri privilegi, tutti gli altri ne abbiano danno.

 

Kuching ha un fascino indolente e decadente. È una vecchia principessa oziosa, spossata dal clima tropicale. Ceniamo con una tom yam incendiaria in riva al Sarawak, seduti a un baracchino di gente amichevole e cordiale. Anche qui risultiamo esotici; a quanto pare il numero di occidentali che transita in città non è così elevato. Il lungo fiume ha un che di rivierasco, coi tavolini e le seggiole dei locali che si susseguono lungo la passeggiata, l’odore del cibo, le note che fuoriescono da casse gracchianti. Sulle acque scure si staglia tremolante il riflesso del palazzo governativo, sontuoso e equilibrato nelle architetture sofisticate rifulgenti d’oro e illuminate di svariati colori.

 

Stasera c’è la finale dei Mondiali di Calcio e ci incamminiamo alla ricerca di un posto dove vederla, realizzando che da queste parti potrebbe, giustamente, non fregare a nessuno. Tra le viuzze di Chinatown scorgiamo un lieve addensamento umano tra i tavolini di un minuscolo locale che invadono la strada. Prendiamo posto quanto più vicini possibile allo schermo del laptop antidiluviano. Ci osservano divertiti. Tempo qualche minuto, la connessione si affievolisce e l’immagine si sgrana in enormi pixel, e ci si presenta Razz, che si accomoda disinvolto al nostro tavolino. Stasera tifa Argentina, ha 30 anni e brucia di curiosità. Nato e cresciuto qui a Kuching, non vede l’ora di scambiare qualche chiacchiera con noi. Tra il primo e il secondo tempo fa un salto a casa per tornare con un tupperware pieno di maccheroni in una salsa imprecisabile, che lui definisce orgogliosamente le sue lasagne e che ci fa assaggiare per ricevere un autorevole parere italico. Gli avventori sembrano essersi abituati rapidamente a noi e ci indirizzano sorrisi accoglienti e complici sullo svolgersi del match. Finisce che guardiamo i rigori tutti assieme, in piedi, con la pioggia che ci bagna quando dopo ogni battuta tutti si allontanano dallo schermo, chi per esultare e chi per imprecare. Rientriamo in ostello che sono le tre del mattino, correndo lungo le vie deserte sotto la pioggia scrosciante e calda.  




 

 

20 dicembre 2023 | Bako National Park

 

A svegliarci ci pensa una sorta di fischio non meglio individuabile che parte alle 8 del mattino e non si arresta più. Raccattiamo i nostri averi e ci incamminiamo sotto un sole cocente. L’obbiettivo di raggiungere il Bako National Park, 40 km più a nord, si rivela meno semplice di quel che avevamo supposto. Dopo un po’ di ricerca in giro per la città, riusciamo a salire su un bus che ci scarica a Bako, minuscolo insediamento che funge da porta di accesso per il parco. 

 

Il Bako è una minuscola riserva per estensione, circa 27 km2, confinata in un lungo promontorio verdeggiante disseminato di baie e insenature. Un’area inaccessibile via terra. Eppure, racchiude le meraviglie di quest’isola tropicale, una sorta di summa. Foresta palustre, vegetazione padang, foresta di mangrovie, foresta di dipterocarpi, vegetazione di scogliera e altro ancora. Tutta la flora del Borneo, praticamente, è rappresentata qui. Non difetta nemmeno di fauna, come avremo modo di scoprire.



 

Riusciamo a partire con l’ultima barca che lascia Bako per il parco, prima che questo tratto di Mar Meridionale Cinese s’ingrossi troppo. Il viaggio ci regala un’abbondante dose di adrenalina, iscrivendosi tra le esperienze di moto più estreme della mia esistenza. Il raffazzonato natante è lungo pochi metri, e c’illude sulla tranquillità del viaggio mentre percorriamo l’ultimo tratto della foce del fiume fangoso. Giunti in mare aperto, le onde che ci si parano davanti sono più alte della barca. Restiamo aggrappati con le unghie nel legno quando lo scafo si staglia in verticale, con l’unico conforto della fredda imperturbabilità del barcaiolo. Sbarcati al molo, baciamo il suolo borneano con un raro senso di liberazione. L’alloggio, una delle strutture sparse attorno al quartier generale del parco, è spartano ma pulito. Manca l’acqua corrente ma ci rassicurano che tornerà entro qualche ora.

 

Dopo un pranzo leggero ci avviamo. Uno degli aspetti affascinanti del parco è che i visitatori possono muoversi liberamente lungo i percorsi, che sono molto ben indicati. Ne puntiamo uno che porta a nord, fino a terminare su una scogliera. Poco più in là una spiaggia su cui scorgiamo la sagoma di un coccodrillo. La natura è straripante, multiforme, varia a seconda dell’esposizione e del terreno. Il sentiero segue il greto argilloso cosparso di pozze di un torrente. Un tappeto intricato intessuto di radici Nelle fenditure tra la roccia dove l’acqua imputridisce al sole ronzano insetti che si disperdono al nostro passaggio in nugoli frenetici. Il frinire e i cinguettii sovrastano ogni altro suono. Senza la protezione delle chiome, il sole tenta di cuocerci nell’umidità che sale dal terreno.

Poi, ci immobilizziamo allo scuotersi delle fronde sopra di noi, intravedendo una scimmia avvicinarsi. Senza far rumore ci portiamo sotto uno sperone di roccia per non essere individuati. Dopo poco arriva il resto del branco, sono nasiche. I maschi misurano fino a 70 cm più altrettanti di coda. Restiamo in silenzio mentre una ventina di esemplari si nutrono saltando di ramo in ramo a pochi metri da noi. Quasi trattengo il fiato col timore che possano udire il mio battito cardiaco. Osservare senza essere visti creature simili nel loro habitat risveglia una sensazione primitiva, una percezione dilatata e vigilissima, qualcosa di più vicino a ciò da cui ogni creatura proviene: la sopravvivenza. Dei pressochè inesauribili e variegati risultati dell’evoluzione, le scimmie hanno la travolgente peculiarità di assomigliarci. Anche per questo sono animali che molti trovano odiosi e antipatici. Gli indonesiani chiamano le nasiche Monyet Belanda, ovvero "scimmia olandese", come forma di dileggio verso gli antichi colonizzatori olandesi, descritti come panciuti e dal naso molto pronunciato. È stato calcolato che questa scimmia trascorra il 20% del proprio tempo a nutrirsi ed il 75% a riposarsi. Nel parco ce ne sono 150, nel mondo 7000, tutte in Borneo.

 



Essendo bassa stagione, la camera con 4 letti è a nostra completa disposizione per la ragguardevole cifra di 15 MYR a testa (nemmeno 3€). La notte meno costosa da quando siamo in Asia. Tuttavia, scopriamo che lenzuola e asciugamani non sono inclusi e che avremmo dovuto richiederli a parte. Troppo tardi oramai, faremo a meno.

 

Il tempo di una doccia con acqua fangosa e di asciugarci all’aria tropicale e il tramonto esplode sull’ampia spiaggia. Lo specchio prodotto dal ritrarsi della marea che lascia la battigia lucida, le nuvole grevi e cariche di pioggia, il profilo del promontorio dall’altra parte della baia. Alcuni tra la ventina degli ospiti del parco si riversano in spiaggia a godersi lo spettacolo.

Tutto l’orizzonte si accende di tonalità mutevoli che si fanno via via più intense e drammatiche, mentre le nuvole s’innervano di lampi. Il giorno lascia il passo alla notte, in un rito a cui partecipa anche una coppia di maiali barbuti del Borneo che grufola indifferente tra la sabbia in cerca di molluschi. Continueranno a aggirarsi tranquilli nei paraggi mentre ceniamo, raggiunti dal resto del branco. Dai rubinetti esce soltanto acqua che ha il colore del fango.  

Infine, la notte del Borneo coi suoi rumori vivi ci avvolge. Nel cielo si susseguono lampi che rischiarano a giorno per pochi istanti, ma niente pioggia.

 

 

21 dicembre 2022 | Kuching

 

Dopo una notte complessa, per via del freddo imprevisto e della costante e possente sinfonia della foresta, esco con le prime luci dell’alba. Passeggio in spiaggia coi maiali barbuti e le scimmie, attendendo che qualcuno apra la cucina. Mangio del riso e mi avvio per fare il percorso più lungo del parco, in solitaria. Sudo come una bestia ma essere immerso nella giungla del Borneo per ore da solo è un gran modo di essere vivo.

Lasciamo il parco dopo pranzo, dopo aver offerto un passaggio sulla barca a una ragazza tedesca, Nina. Studia medicina e si è presa un po’ di tempo prima di iniziare la specialistica. Il mare, per quanto grosso, stavolta ci concede le onde a favore, risultando meno spaventoso.

 

Rientrati a Kuching, Razz ci propone di uscire assieme a cena. Nicolò, stanco, declina mentre io raccolgo le ultime energie e accetto l’invito. Pochi minuti dopo mi passa a prendere con la sua auto. Mi porta in un mercato fuori dal centro città. Mi fa assaggiare un po’ di piatti che non ho idea di cosa contengano prima di trascinarmi tra bancarelle di merce, contraffatta e non, di ogni sorta. Capendo che non sono interessato allo shopping, insiste per mostrarmi un appartamento che possiede e che affitta a studenti. Alla nostra comparsa inattesa, nessuno sembra sorpreso. Vivono in 7 in un marasma che mantiene il proprio ordine. Alcuni cazzeggiano, altri studiano ma sono incuriositi dalla mia insolita presenza. Mi chiedono di assaggiare il tabacco che mi sono portato dall’Italia e giro sigarette per ognuno di loro. I letti sono letti nomadi: materassi che gli inquilini spostano in giro per casa a seconda della necessità.

Nell’aria di Kuching si respirano folate di wok sparate in strada dalle cappe di aspirazione. Domani si riparte, ma l’indolenza placida di questa città mi ha fatto sentire accolto. Quando saluto e ringrazio Razz sotto il pessimo hotel in cui alloggiamo so che probabilmente è l’ultima volta che lo vedrò.  

 

Mi pongo spesso la domanda: sto esistendo al meglio delle mie possibilità?

 

 

22,23 dicembre 2022 | Kuching, Kota Kinabalu

 

Stamattina l’aria è più fresca. Il sole implacabile solleva l’umidità a velare la volta celeste.

Il corpo è una spugna percettiva da portare a zonzo, il cervello il magazzino e centro d’elaborazione itinerante delle percezioni. Eppure, più accumulo esperienze e conoscenza, più mi convinco che certe cose la scienza non le sappia spiegare oggi e probabilmente mai ci riuscirà. L’universo, per fortuna, è fatto di inspiegabile. La ragione arriva dove può, poi s’arresta. Da lì in poi, si può soltanto sperare di avvertire brandelli di trascendente.

 

Sorvolare il Borneo settentrionale durante la stagione dei monsoni non è esattamente rilassante. Verso Kota Kinabalu le turbolenze diventano intense e il mare sottostante è vergato dalle scie bianche di onde gigantesche, con una cintura di fango trascinata dalle piogge che incastona la costa. La città dall’alto sembra allagata. Le gocce di pioggia sono schegge impazzite la cui densità è per un attimo interrotta dall’ala dell’aereo, in una breve scia che viene reinghiottita al nostro passaggio. Quando posso scelgo sempre il posto vicino al finestrino.




 

Mentre vedo la maggior parte dei passeggeri con la mascherina, penso all’ossessione per i batteri e germi etc. percepiti come qualcosa di esterno dalla nostra individualità e corporeità. Io i miei lì coltivo, lì colleziono e lì raccatto in giro per il mondo. Da qualche tempo ho scoperto l’ipotesi evolutiva dell’olobionte.

 

“Il corpo umano è affollato da milioni di miliardi di microrganismi, tra batteri, archaea, virus, funghi. Vivono sulla pelle, nelle mucose della bocca e delle vie respiratorie, nell'intestino, e svolgono importanti funzioni, come quelle digestive, metaboliche o immunitarie, indispensabili alla nostra salute. Microbiota è il nome dato all'insieme di questi nostri inquilini, che raggiungono un numero di individui 10 volte superiore alle cellule del nostro organismo. Il microbioma, ovvero l'informazione genetica totale contenuta nei microrganismi che ci abitano, è 100 volte più grande del genoma umano. Viene allora da chiedersi se sia sufficiente chiamarlo umano, il nostro corpo, o non sia più opportuno considerarlo una sorta di ecosistema.”

 

 

 

A Kota Kinabalu, capitale dello stato del Borneo malese di Sabah non fa altro che piovere, e la città è inequivocabilmente brutta. Grossi ratti e blatte percorrono instancabili i marciapiedi in guizzi furtivi.

Ceniamo in un ristorante islamico dove la ragazza che ci serve indossa un niqāb da cui spuntano soltanto due occhi d’un verde intenso.  

 

Adoro il putridume della città che mi inzacchera i piedi nelle infradito, unica opzione di calzatura per non infradiciare le scarpe. Per la prima volta da quando siamo in questa parte di mondo, una bambina ci si attacca per chiedere l’elemosina. La città è veramente sporca e fatiscente.

Col sole, raro, migliora un po’ e per lo meno l’offerta gastronomica è ampia.

 

 

24, 25 dicembre 2022 | Kota Kinabalu

 

E insomma, non tutte le ciambelle riescono con il buco. Kota Kinabalu é tra queste. Avevo deciso di venirci nella speranza che il clima permettesse di raggiungere la foresta e il monte Kinabalu che supera i 4000 metri. Certo, era un azzardo visto il periodo dell’anno su cui incombe la stagione delle piogge proveniente da sud. Dopo due risvegli nel buio di una stanza senza finestre nel centro città, ci spostiamo verso la periferia non prima di aver vagato per la città alla ricerca di posti per mangiare che risultano chiusi. Rassegnazione e nervosismo imperversano.

La stanza al TD Capital è spaziosa e luminosa ma, ovviamente, non c’è modo di avere wi-fi in camera. Arrivo a litigare coi receptionist ma nulla da fare. Stiamo finendo i ringitt e non ha senso prelevarne altri. Non ci resta che ripiegare su un ristorante cinese che accetta la carta. La nostra cena della Vigilia si compie così: un’abbuffata di cibo cinese in un ristorante pittoresco e gelido nel Borneo Malese con un cameriere che ci fa il filo. Dopo cena esco per comprare due birre e lungo la strada scambio due chiacchiere col cameriere che, inguainato in vestitino niente male e slanciato da scarpe col tacco, mi dice di aspettare un amico con cui andare a una festa.

A mezzanotte brindiamo con due Tiger prima di coricarci. Nulla più di questo. Il dono di quest’anno sono quattro mesi di qui e ora.

 

Ci avviamo verso un Ibis Hotel nelle vicinanze, nella speranza ci offra del wi-fi che funzioni così da progettare le prossime mosse una volta giunti nelle Filippine. Io acquisto un volo con OnWard, che ti permette di avere copertura di 72 ore con un giustificativo per l’ingresso in frontiera visto che il mio volo di uscita dal paese è un giorno dopo la scadenza del visto.

 

La sera di Natale partiamo alla ricerca di un ristorante che accetti la carta. Ovviamente, diluvia. Dopo aver camminato sul bordo della statale fino a un distributore, la pioggia si intensifica e restiamo bloccati. Cerchiamo un Grab ma niente. Ci risolviamo a tornare al ristorante cinese di ieri sera. Lungo la strada una macchina ci schizza cinematograficamente addosso una pozzanghera, lasciandoci indecisi se ridere o bestemmiare.

 

 

26 dicembre 2022 | Kota Kinabalu

 

I 50 metri a piedi per raggiungere la colazione sono sufficienti a infradiciarsi. Non accenna a smettere nemmeno per un istante. È sconfortante. L’umore è ai minimi e le previsioni per le Filippine non sembrano migliori. Nel ristorante dove pranziamo tutti fissano i propri smartphone mentre mangiano. I più giovani, in particolare, non staccano gli occhi dagli schermi, fagocitati da un mondo che non esiste e che si fagociterà il loro futuro.

 

Nel gelido aeroporto di Kota Kinabalu fumo l’ultima sigaretta prima di imbarcarmi per le Filippine.

Mi rendo conto di essere a poco più di un terzo della permanenza in Asia. Avverto la mancanza del comfort di casa, ma credo sia colpa di questi ultimi 4 giorni difficili. Inevitabile che sia così, non resta che accettarlo. Non avrei pensato di dirlo ma sono contento di salire su un aereo che lascia il paese.

Arrivederci Malesia, chissà se ci rivedremo. Ma se non dovesse essere, me ne farò una ragione.

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