Dispacci dall'Indocina - #1 Bangkok
- Alvise Bortolato
- Mar 14, 2024
- 4 min read

20 novembre 2022
Seduto al gate 43 di Heatrow, guardo distrattamente il susseguirsi di notizie sul missile caduto in Polonia. Devono ancora appurare quale sia la sua provenienza, e nei toni sembra trattarsi di una potenziale nuova Sarajevo in versione NATO.
Oggi, 15 novembre 2022, la popolazione ha raggiunto gli 8 miliardi di individui, e la cosa non sembra promettere granchè bene.
Mentre attendo di imbarcarmi sull’aereo diretto a Bangkok, la porta d’ingresso per questa mia incursione nel sud est asiatico, mi vengono in mente le parole che il poeta Gianni Montieri usò in risposta a chi gli chiese cosa ci facesse a Venezia, dove si era appena trasferito: “Cerco di meritarmela”.
L’unico motivo della mia partenza che mi è noto è di assecondare la mia curiosità, facendo quella che finora risulta essere la più appagante tra le esperienze vissute nella mia esistenza: viaggiare.
Alla domanda “perché parti?” che qualcuno mi ha rivolto nei mesi scorsi, non posso che rispondere che non lo so. E, come scrisse uno dei miei fumettisti preferiti (Maicol & Mirco), le risposte sono domande senza palle. Perché non dovrei partire per una manciata di mesi in Indocina, se ho l’occasione di farlo? Perché dovrebbe esserci un motivo diverso dal fatto che il mondo esiste e che io possa farne esperienza solo finchè sono vivo e in salute? Perché non dovrei allontanarmi un po’ da casa, per spostare il punto di vista su questo Occidente al collasso, dove il benessere ha fiaccato le menti e l’avidità scatena guerre che nessuno al di fuori di qualche potente sembra desiderare?

Dopo quasi 12 ore di volo accanto a un passeggero che non ha fatto molto altro che dormire contro la mia spalla e tossire, non vedo l’ora di uscire all’aria aperta. Finalmente, dopo un’oretta di treno fino al centro città, Bangkok mi accoglie col suo abbraccio tropicale, torrido e infradiciante. Sono passati sedici anni da quando ero stato qui con la mia famiglia.
Mi piace l’idea di “soffrire” il caldo in un periodo dell’anno in cui dovrei patire il freddo, anche se nei giorni seguenti mi renderò effettivamente conto della sua ferocia, con temperature che di giorno sono sempre oltre i 30° e tassi di umidità che superano il 90%. È già calata la sera e una leggera pioggerellina scende sulla città e il suo caos fatto di milioni di mezzi di trasporto d’ogni sorta. Per raggiungere la guest-house dove alloggio opto per un passaggio su una moto taxi. Quale modo migliore per lasciarsi alle spalle l’ordine e le regole occidentali che saltare in sella a una motoretta scassata e farmi scarrozzare per mezz’ora nel traffico di Bangkok lucido di pioggia, rigorosamente senza casco?
Lungi da me avere la presunzione di dire cosa sia un luogo, tanto meno una città del genere, elencherò qui alcune cose che Bangkok è stata per me.
Questa città mi da l’impressione di essere costantemente in lotta con la jungla che tenta di inghiottirla in tutti i modi. E considerando il clima, penso che basterebbe un anno senza esseri umani per vederla riconsegnata alla natura.
Nicolò, giunto il giorno seguente e che mi accompagnerà nei primi mesi di questo viaggio, mentre passeggiamo mi chiede se io abbia già visto un serpente. Rispondo di no, faccio due passi, udiamo un tonfo metallico e vediamo un serpente verde impattare al suolo dopo essere rimbalzato sul tettuccio di un’auto. Si dilegua sinuoso in un batter d’occhio, deciso a riconquistare l’albero da cui è appena precipitato. Evidentemente bisogna stare attenti a cosa si chiede in questo luogo.
Bangkok è anche traboccante di tristezza per un’autenticità perduta nel prostituirsi all’Occidente e ai suoi costumi più viziosi. Basta fare un giro a Khaosan Road, uno sterminio di bar e locali a misura di turista occidentale alla ricerca di svago a basso costo. Anche la marijuana è diventata legale – quando prima vigevano pene severissime – e il quartiere pullula di negozi che sono brutte copie dei coffee di Amsterdam. Fumare per strada è tuttalpiù considerato “inappropriato”, ma a occhio e croce direi che la tolleranza è alta. Quanto è andato perduto in nome di questo materialismo edonista di bassa lega sorto con l’unico scopo di drenare danaro dagli stranieri? La maggior parte delle persone con cui incroci lo sguardo cerca poi di venderti qualcosa.
Passeggiare per Chinatown poi, amplifica la sensazione di formicaio votato alle merci e al profitto all’ennesima potenza. Qui l’ossessione per il denaro è tangibile e rifulge dei riflessi dell’oro che ricopre letteralmente i negozi cinesi dove oggetti d’ogni forma di questo materiale vengono venduti a tutto spiano. Non si capisce bene né a chi né perché, eppure questa sorta di compro-oro pullulano e sono sempre affollati. Misteri della fede nel dio-danaro.

I templi non mancano, ma il senso del sacro sembra averli abbandonati, ridotti anch’essi a location per i profili social dei turisti mordi e fuggi, con la fila di tuk tuk e mini-van parcheggiati fuori per portare i clienti alla prossima meta. La fretta si mangerà il mondo, noi compresi. Mi chiedo quanto l’assenza di stagioni, per come le intendiamo alle nostre latitudini, influisca sul modo delle persone di concepire il tempo, schiacciandole su un eterno presente indistinto in cui l’unica differenza è la frequenza e abbondanza di precipitazioni.
Nella guest-house fatichiamo terribilmente a dormire. Non tanto per il jet-lag, quanto più per il rombo costante in cui è avvolta la città. Il traffico, i generatori, i condizionatori, gli esseri umani. Lungo i corridoi ticchettano passi su tacchi, accompagnati da risatine stridule e urla eccitate. Fissando il soffitto dal mio letto mi chiedo quante prostitute transitino qui ogni notte, con le loro disillusioni e le loro speranze. Vorrei conoscere le loro storie, i loro pensieri, i loro sentimenti verso chi alimenta questo commercio che da loro da mangiare, ma a che prezzo umano.
Alla fine, non vedo l’ora di lasciarmi Bangkok alle spalle, col suo rumore, i suoi miasmi, le sue corruzioni. Tre notti qui hanno ampiamente superato la mia soglia di tolleranza urbana.
Mentre un treno cigolante ci porta fuori dalla capitale, scivolando sbuffante tra i quartieri periferici in un susseguirsi di baracche, zone industriali e acquitrini, fermandosi a ogni pisciata di cane, penso alla mia fortuna e ai miei sforzi per alimentarla. Dicono che in punto di morte si ripercorra la propria vita come fosse un film. Non mi dispiacerebbe godermi un bel documentario, prima di chiudere gli occhi al mondo.
Foto per gentile concessione dell’iPhone 8 di @nicolocarlon